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Un commento

Psicologi del traffico: ecco chi sono e come operano.

Psicologi del traffico: ecco chi sono e come operano.

| il 22, feb 2014

Abbiamo incontrato Maria Rita Ciceri, direttore scientifico del Corso di Perfezionamento presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, unico in Italia e giunto quest’anno alla terza edizione.

Fattore umano, ovvero uno dei principali responsabili dell’elevato numero d’incidenti che ancora oggi avvengono sulle nostre strade. La sicurezza stradale, infatti, è ad oggi ancora una sfida e non un obiettivo raggiunto, lavorare sulla sicurezza significa da un lato affrontare l’emergenza dell’incidentalità stradale, dall’altro rispetto al sistema traffico potenziando la mobilità sostenibile. Ecco allora che in aspetti come la prevenzione, la formazione degli utenti, e tutti i problemi legati alla sostenibilità e alle nuove interazioni uomo-macchina, il fattore umano è centrale. A Milano, da tre anni, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore la sicurezza la studiano gli psicologi, attraverso un Corso di Formazione, unico nel suo genere.

Il fattore umano è uno dei principali responsabili dell’elevato numero d’incidenti che ancora oggi avvengono sulle nostre strade

“Studiando la materia e confrontandoci con il panorama nazionale e in particolare internazionale – spiega Maria Rita Ciceri, direttore scientifico del Corso di Perfezionamento Psicologia del Traffico –  si capisce come sia vitale formare dei professionisti che siano in grado di interfacciarsi in maniera efficace e competente. Nonostante in Italia sia ancora uno sconosciuto, lo Psicologo del traffico lavora attivamente a livello internazionale: in Europa questa figura è già presente, mentre in Italia ci stiamo muovendo per recuperare questo gap.

A chi si rivolge il Corso e quali sono le figure coinvolte?

Lavorare nel sistema traffico significa lavorare in sinergia interdisciplinare con tutti gli attori coinvolti. Il corso si rivolge innanzitutto agli psicologi, con una selezione a numero chiuso ampliata da 10 a 15 persone. Oltre agli psicologi che volevano diventare professionisti in questo settore, il Corso si rivolge anche a professionisti del mondo del traffico di natura diversa, che nel primo modulo del Corso si confrontano tra loro in maniera estremamente proficua: operatori della Polizia, istruttori di scuole guida, periti che ricostruiscono incidenti, l’amministrazione pubblica. Grazie a questo scambio sono stati compresi problemi reali presenti nella situazione del traffico e sono nati progetti e proposte per ambiti considerati vitali sul piano della sicurezza e della viabilità in cui è fondamentale intervenire tenendo presente come elemento centrale il fattore uomo.

Ci può spiegare come avviene in pratica la sperimentazione di una collaborazione tra psicologi, tecnici ricostruttori,  ingegneri, medici, agenti di polizia, istruttori di guida e come possono effettivamente interagire questi soggetti tra loro?

I contenuti che vengono offerti sono una riflessione, a partire dal fattore umano, sulle competenze, le conoscenze di base e il bagaglio emotivo e percettivo che intervengono nel momento in cui il soggetto si interfaccia con la realtà della strada, non solo della guida ma anche del trasporto e della mobilità. Mai come oggi gli uomini trascorrono un tempo consistente in movimento sulla strada. La riflessione quindi riguarda da un lato il sistema traffico, pensato appunto come Sistema a cui partecipano componenti diverse, dall’altro aspetti pratici che ad esempio possono essere utili durante la formazione nelle scuole guida. Il tentativo è di capire come il cosiddetto new driver, nuovo guidatore, percepisce la strada, i rischi, la guida di per sé, da un punto di vista psicologico-cognitivo.

Come possono intervenire gli operatori nella fase della formazione?

Abbiamo avuto modo di approfondire, spesso anche insieme ad istruttori guida, come alcuni errori (sulle stime di velocità, sulla capacità di monitorare in maniera complessiva il campo visivo fuori dal parabrezza) siano dovuti a vincoli del nostro sistema percettivo e non alla distrazione come spesso si pensa. Nel momento in cui si forma un driver è utile confrontarsi, ad esempio, su dove sia importante focalizzare l’attenzione e su quali siano gli errori più eclatanti che possono essere evitati proprio attraverso la formazione, per generare una maggiore capacità di guida sicura.

La ricerca scientifica può confortare l’esperienza e le strategie degli istruttori di scuola guida con determinati test. Ad esempio, per quanto riguarda l’uso dello specchietto, utilizziamo frequentemente come strumento di ricerca l’Eye Tracker, che permette di verificare dove si rivolge lo sguardo del guidatore e quindi dove si rivolge il fuoco di attenzione visiva. Se si verifica come viene indirizzato lo sguardo si possono poi mettere in atto strategie molto diverse. I new driver usano strategie perdenti, incapaci di prevenire il rischio, perchè non sono in grado di monitorare tutti gli stimoli che provengono dalla realtà.

“La strada ha tempi di reazione reali, immediati, e quindi occorre essere attrezzati.”

La percezione del rischio è tema di diverse tesi di studenti che partecipano al vostro Corso. Cosa crede sia utile sapere in merito al ruolo del fattore umano?

La percezione del rischio è un qualcosa che abbiamo tutti, ma ci sono degli elementi che possono essere notevolmente potenziati e sui quali si può lavorare in termini di prevenzione. C’è da considerare innanzitutto un fattore di conoscenza del rischio reale: siamo bipedi, non siamo nati su un’auto. Serve quindi una conoscenza sui sistemi di velocità o di trasporto, che va anticipata e che va fatta prima di diventare autisti, non acquisita soltanto dopo un’esperienza di incidente, altrimenti si fa sulla propria pelle e su quella altrui. Ci sono dei limiti e dei vincoli per cui non siamo in grado di conoscere realmente il rischio.

L’Unità di Ricerca è stata coinvolta anche in una serie di ricostruzioni di incidenti stradali e un primo incidente su cui poi abbiamo lavorato era quello di un bambino che andava a scuola in bicicletta che è morto perchè ha messo la ruota della propria bicicletta oltre la linea bianca di uno stop. Il bambino si sentiva sicuro e si sentiva ragionevolmente sicuro, perchè la gran parte del corpo della bicicletta era nella parte corretta all’interno della linea bianca. Educare ad una corretta percezione del rischio fin da quando i bambini sono molto piccoli significa far capire perchè andare oltre la linea bianca anche soltanto con la ruota di una bicicletta può mettere a repentaglio la propria vita. La strada ha tempi di reazione reali, immediati, e quindi occorre essere attrezzati.

 

Ci sono delle differenze nella percezione del rischio a seconda del tipo di utente, ad esempio in base all’età? L’esperienza dipende dall’età?

Si sa che i giovani hanno un senso del rischio minore rispetto a chi è più avanti con gli anni, ma tale percezione può essere educata per contenere la voglia di trasgressione che spesso fa parte di quest’età. Più che l’età è l’esperienza spesso a fornire una valutazione reale della percezione del rischio. Un altro aspetto è la dimensione culturale: ad esempio noi italiani trasgrediamo molto volentieri le regole sentendoci comunque molto sicuri mentre le trasgrediamo ed è la nostra stessa cultura a spingerci ad un’interpretazione più libera della legge. Non ci sentiamo così deplorevoli, se non facciamo dei danni. In altre culture invece c’è un senso dell’uso della strada come luogo pubblico che vincola molto alcuni comportamenti e quindi di fatto potenzia la percezione del rischio.

Un ultimo aspetto, come nel caso di persone con grande esperienza o di età più avanzata, è il fatto che ciascuno di noi è più o meno “gambler” – giocatore d’azzardo – o “conservative”: quindi c’è anche una componente personale. Ci sono dei test che permettono in parte di individuare i propri profili. Si può essere un rischio per gli altri sia quando si è eccessivamente prudenti, per cui si ha paura a compiere determinate manovre e si diventa esitanti, sia quando si è dei gambler tali da disprezzare le regole e non condividere l’ambiente pubblico in maniera adeguata con gli altri attraverso il rispetto. Si potrebbero dare dei feedback ai soggetti che hanno conosciuto quale sia il proprio profilo e che quindi sarebbero più disponibili a cambiare.

“Più che l’età è l’esperienza spesso a fornire una valutazione reale della percezione del rischio”

Parlate anche di efficacia comunicativa (un tema caro ai progetti di formazione del Metodo La Nuova Guida), di prevenzione e sostenibilità (affrontati anche dal progetto Unasca Ecopatente). Quanto incide un buon approccio psicologico?

Spesso non è necessario soltanto avere chiaro cosa va detto, ma anche il come va detto. Più è elevata la percezione del rischio e meno il soggetto vi si espone. Ci siamo chiesti come si potenzia in termini comunicativi la percezione del rischio e in particolare in chi si sta formando all’uso dell’auto. Anche in questo caso l’attenzione è maggiormente rivolta alla modalità con cui si possono far emergere delle capacità per la salvaguardia della sicurezza, al di là dei contenuti. Un altro tema assolutamente centrale e che porterà enormi cambiamenti nei sistemi di mobilità è il tema della sostenibilità. Abbiamo dei problemi urgenti che vanno risolti da subito con alcuni tipi di intervento: l’Ecopatente, o comunque procedure ottimali che consentono un enorme risparmio e che possono essere apprese in tempistiche brevi, così come l’attenzione ad alcune scelte comportamentali e a come possano essere educate e vincolate.

Abbiamo bisogno di capire quali possano essere delle scelte sostenibili, con comportamenti più attenti agli spostamenti ecologici. L’altra grande sfida per la ricerca è capire quale sia il tema che potrà interessare il futuro delle auto e di quale tipo di auto. Anche in questo caso, guardando ad un futuro che ormai è abbastanza vicino, è importante cominciare a ragionare e a fare ricerca su come saranno le auto del futuro: come dovranno essere utilizzate, quanta attenzione e consapevolezza sarà necessaria per guidare auto dotate di molti sistemi di guida intelligente, che aiutano l’autista a fare una serie di scelte e comportamenti. Anche questo aspetto, che sembra lontano ma non lo è, va monitorato insieme.

Unasca sta portando avanti l’idea di istituire una formazione permanente per tutti i guidatori, che spesso non sono aggiornati sulle ultime norme in vigore e che comunque dopo l’esame tendono a dimenticare anche alcune nozioni di base. Cosa ne pensa?

Credo che il progetto di una formazione continua vada nella direzione di una maggiore sicurezza ma anche di una maggiore consapevolezza del soggetto nei confronti della strada e del traffico, delle sue potenzialità e dei suoi vincoli. Sicuramente esiste un problema di norme che cambiano, ma c’è un problema anche di mezzi che si evolvono. Le automobili che guidiamo oggi non sono le automobili di dieci anni fa. È necessario, quindi, adeguare la propria esperienza a temi come quello della sostenibilità, verso cui soltanto dieci anni fa c’era molta meno attenzione. La capacità di uso del mezzo può essere potenziata per andare verso il risparmio dell’energia. L’ambiente del traffico, poi, è in continua evoluzione.

La formazione sarebbe utilissima e importante e, come avviene in alcuni Stati, potrebbe iniziare già nell’infanzia e proseguire con continui aggiornamenti anche per poter ricevere feedback sulle proprie modalità. Nel caso, ad esempio, di un autista con molta esperienza ma che sa di aver violato costantemente determinate norme in alcuni contesti, un aggiornamento potrebbe aiutarlo a superare alcuni dei suoi errori e modalità comuni. Il problema della formazione permanente, per molti ambiti in cui sarebbe necessario adottare questa formazione o dove è già stata adottata, sono i contenuti. Occorre una formazione permanente che formi davvero e che dia risposte ai problemi veri e reali. Occorre che siano i soggetti stessi a sentire il bisogno non tanto di essere controllati, ma piuttosto di essere maggiormente preparati all’uso della strada, correggendo i propri errori.

DI ANNA BARBETTA

Pubblicato sul numero 02/2014 del magazine Il Tergicristallo

1 Comment on Psicologi del traffico: ecco chi sono e come operano.

Domasa Padovan said : Guest Mar 20, 2024 at 11:24 AM

Buongiorno, vorrei specializzarmi in Psicologia del traffico, sono un psicologa e psicoterapeuta, come posso fare? Dove e quando ci sarà il master? Come posso iscrivermi? Grazie Domasa Padovan

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