L’ultima chance
unasca | il 13, Mar 2014
Com’era ovvio Matteo Renzi porta a casa il sì del Senato e della Camera, non senza polemiche.
Tutto si gioca sull’opportunità politica di farsi nominare dal capo dello Stato senza passare dalle urne. D’altra parte la legge elettorale vigente non avrebbe consentito un percorso tanto diverso da quello che ci ha condotti in questa situazione e lo stallo italiano ha già assunto la fisionomia del disastro.
Io stesso sono rimasto in un primo tempo molto amareggiato, giacché convinto che il forte consenso elettorale avrebbe dato all’ex sindaco di Firenze una forza maggiore per creare una squadra di ministri capaci senza passare per forza dal famigerato Cencelli. E forse mi sbagliavo. Il Paese è immobile. Lo sanno bene i nostri associati che lottano contro la crisi e contro la stagnazione di un’economia che non riparte.
Lo scorso anno Mario Draghi alla Luiss di Roma parlando dell’Italia aveva inquadrato la strada delle riforme dicendo: “Devono passare attraverso un’efficace promozione della concorrenza, un adeguato grado di flessibilità del mercato del lavoro che sia ben distribuito fra generazioni, una burocrazia pubblica che non sia d’ostacolo alla crescita e un capitale umano adatto alle sfide poste dalla competizione globale”.
I cavilli borbonici contro cui ogni giorno dobbiamo combattere sono la prova di un Paese inadeguato alla crescita.
Del problema della burocrazia Unasca parla da sempre. I cavilli borbonici contro cui ogni giorno dobbiamo combattere sono la prova di un Paese inadeguato alla crescita. Ciò che oggi non ci possiamo più permettere. Tra il 1991 e il primo decennio degli anni 2000, Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schröder hanno radicalmente cambiato la politica economica occidentale, offrendo al mondo il migliore esempio di come rilanciare la crescita e l’occupazione attraverso una serie di riforme di vasta portata coniugando, ognuno secondo la propria cultura, equità sociale e liberismo. Il punto è: equità sociale e libero mercato possono andare assieme? Secondo le forze ultraconservative di sinistra che hanno abitato dentro e fuori il Parlamento italiano in quegli anni no. Quindi fallì Romano Prodi, quindi fallirono quasi tutti i progetti concepiti in seno alle varie coalizioni di centro sinistra, quindi ha fallito (fino ad ora) il Pd.
Ora il punto è: Renzi riuscirà prendere il Paese e riformarlo come fece Blair con l’Inghilterra? Certo, prima del blairismo la Gran Bretagna ha avuto la Signora Tatcher, mentre Matteo Renzi ha sulle spalle vent’anni di Berlusconi, di sindacati, e di sinistra italiana, che in termini di riforme non hanno proprio offerto un fulgido esempio di come guidare il Paese verso la crescita e la prosperità.
Ma come Blair, anche Renzi può contare sulla certezza di essere solo. E questo potrebbe essere un vantaggio strategico non da poco. Quando il Corriere della Sera chiese a Renzi le ragioni per cui in Italia sia così difficile concepire una politica economica di tipo clintoniano o blairiano lui rispose: “non so perché sia stato così difficile fino ad ora, ma io sono convinto che sarà facile provarci per i prossimi mesi”. Come sia, Renzi incarna oggi l’ultima chance di un Paese allo stremo, governato da uno Stato capace di sperperare miliardi di euro per costruire inutili rotatorie e nello stesso tempo di non stanziare un centesimo per la cura del proprio patrimonio artistico, abbandonandolo al degrado e alla rovina. Così come ha abbandonato le imprese e gli imprenditori.
Pubblicato sul numero 03/2014 del magazine Il Tergicristallo