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100 numeri per capire l’autotrasporto

100 numeri per capire l’autotrasporto

| il 16, giu 2017

Come sta cambiando il settore dell’autotrasporto? A Roma è stato presentato «Un ritratto in cifre: 100 numeri per capire l’autotrasporto» libro di Deborah Appolloni, edito da Federservice

“Uno scenario in movimento”, come lo ha definito l’autrice, che ha ridisegnato e continua a disegnare un mondo che ha riscoperto aggregazioni fra imprese sconosciute in passato, in un settore centrale dell’economia mondiale nel quale vecchie figure di imprenditoria individuale lasciano sempre più il posto a gruppi e aggregazioni più competitivi. L’autotrasporto italiano sta cambiando volto: la crisi economica è stata molto pesante ed è arrivata quasi contemporaneamente l’apertura delle frontiere e l’avvento della concorrenza da parte dei vettori dell’Est. Tutti fattori che hanno inciso profondamente: dal 2010 sono scomparse quasi 17.000 aziende (-15%). Il maggior tributo è stato pagato dalle imprese individuali (-20.000 unità), mentre sono cresciute Spa e forme aggregative come cooperative e consorzi. Un segnale di coesione che l’autotrasporto non aveva mai dato prima: il mondo dei “padroncini” si ritrova più debole, mentre aziende strutturate si fanno largo per affrontare situazioni più complesse, in cui l’Europa fa da padrona nel bene e nel male. Il volume «Un ritratto in cifre: 100 numeri per capire l’autotrasporto» è stato presentato ieri a Roma nell’ambito di un convegno presso il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a cui hanno partecipato le maggiori associazioni del settore, tra cui Anita, Assotir, Confartigianato Trasporti, Fai-Conftrasporto, Fedit, Fiap e Legacoop.

Il volume, scaricabile dall’area riservata del sito www.uominietrasporti.it, parte da numeri e statistiche per tentare di delineare l’evoluzione di questo settore fondamentale per l’economia italiana. Il confronto con le aziende europee è stata forse la sfida più difficile di questi anni: i Tir con targa straniera sono sempre più presenti sulle autostrade italiane e rappresentano il 60% dei veicoli in transito dai valichi alpini. L’invasione degli autotrasportatori dell’Est ha prima eroso fette di mercato consistenti, poi ha fatto balenare diverse possibilità di “restare a galla” attraverso sistemi più o meno legali con l’obiettivo di abbassare i costi, troppo alti in Italia. Nel panorama europeo, l’autotrasporto italiano appare claudicante. Tra il 2006 e il 2015 il cabotaggio stradale internazionale è esploso. Sempre secondo Eurostat, la Germania ha visto aumentare le tonnellate trasportate in regime di cabotaggio del 186,6%, il Belgio dell’80%, la Francia del 21,5%. Il nostro paese ha toccato l’apice nel 2014 con 7,8 milioni di tonnellate, il 67,2  in più rispetto al 2006, tornando poi nel 2015 a un valore pari a quello di dieci anni fa. Stando a uno studio della CGIA di Mestre, le tariffe dei vettori italiani si aggirerebbero tra 1,10-1,20 euro a chilometro (già sottocosto), mentre i colleghi dell’Est, spesso in violazione delle norme sui tempi di giuda, delle disposizione sul cabotaggio e con costi fissi inferiori, arrivano a viaggiare a 80-90 centesimi al chilometro. Buona parte del gap competitivo si basa sul costo del lavoro: un autista assunto con contratto italiano costerebbe quasi 8 volte di più rispetto al collega con contratto bulgaro.

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