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Cima

Attenzione alla guida, di persona è meglio. Ma perché?

Attenzione alla guida, di persona è meglio. Ma perché?

| il 06, apr 2022

Brainsigns è una “spin-off” company dell’università La Sapienza di Roma. L’azienda, a partire da una solida conoscenza scientifica nell’analisi di segnali prodotti dal funzionamento del cervello, ha sviluppato applicazioni innovative in diversi campi: neuromarketing, valutazione dell’impatto del fattore umano in contesti operativi e quotidiani, neuroergonomia e testing di dispositivi medici protesici.

Da diversi anni si occupa anche di sicurezza stradale e recentemente ha completato uno studio
sull’attenzione, valutando il livello di attenzione e comprensione degli allievi di una scuola guida durante una lezione di teoria, confrontandone la modalità in presenza e in remoto. Il Tergicristallo incontra il direttore scientifico di Brainsigns, il professor Fabio Babiloni della Sapienza di Roma.

Professor Babiloni, ci descrive brevemente lo studio?
«Abbiamo avuto il piacere di poter condurre questo studio, che ha visto coinvolti 40 studenti di un corso per conseguire la patente di tipo B. L’obiettivo era quello di valutare come la didattica in presenza e in remoto potessero essere “vissute” diversamente, e in particolare se quest’ultima, da remoto, potesse in qualche modo inficiare l’efficacia formativa della lezione. Dunque, agli studenti è stato chiesto di indossare una “fascia” con 4 sensori per l’attività cerebrale (elettroencefalografia, ndr) e un braccialetto simile a un moderno smartwatch per misurare l’attività cardiaca e la sudorazione. Infatti, variazioni tanto dell’attività cerebrale quanto di questi altri parametri fisiologici oggi ci permettono di ottenere attraverso le più moderne tecniche neuroscientifiche informazioni riguardo gli aspetti cognitivi ed emotivi provati da una persona mentre guarda la tv, visita un museo, guida la propria auto o frequenta una lezione, come nel nostro caso. Gli studenti hanno seguito una lezione della durata di un’ora, erogata sempre dallo stesso docente, di grande importanza per la sicurezza alla guida, ossia gli incroci stradali e la relativa segnaletica sui diritti di precedenza. Metà della lezione è stata seguita in presenza, l’altra metà è stata seguita in remoto attraverso una delle consuete piattaforme per videoconferenze».

Ci può dare qualche anticipazione sui risultati?
«Dal punto di vista neurofisiologico, abbiamo visto come il coinvolgimento degli studenti fosse inizialmente simile, ma mentre quelli in presenza hanno mantenuto un livello di attenzione ed impegno mentale costante fino alla fine, gli studenti in remoto dopo circa 20 minuti manifestavano segni di disattenzione. Altro risultato interessante è stato che gli studenti da remoto hanno mostrato inizialmente un maggiore stress, poi diminuito insieme alla perdita di attenzione. Questo effetto può essere imputabile alla diversa interazione tra studente e docente che potrebbe non essere sempre facile e immediata nel momento in cui si trova un monitor di mezzo, rispetto alla situazione in cui si è in classe e sicuramente la comunicazione ne beneficia. In aggiunta, un terzo degli studenti ha commesso più errori nel rispondere a domande sugli argomenti appresi da remoto».

Risultati interessanti ma forse non sorprendenti. Qual è dunque il valore aggiunto dell’approccio neuroscientifico che voi utilizzate?
«Ovviamente le tecniche neuroscientifiche non hanno l’obiettivo di dire cose “diverse” da ciò che normalmente si apprende attraverso ricerche tradizionali, bensì di aprire nuove prospettive e di far luce sulle cause di determinati comportamenti umani. Come in questo caso, diventa cruciale dunque non dimostrare che una lezione da remoto potrebbe risultare meno efficace, ma capirne il perché, ad esempio scoprendo che gli studenti potrebbero inizialmente essere ben disposti ma poi difficoltà anche tecniche possono innescare una perdita di interesse e di attenzione».

I formatori delle autoscuole ritengono che gli argomenti riguardanti la sicurezza stradale debbano obbligatoriamente essere svolti nelle autoscuole, altrimenti c’è il rischio che gli allievi si concentrino solo sul superamento dell’esame, ma non comprendano perché fare una cosa piuttosto che un’altra. Com’è la situazione della formazione a distanza in università? Siete soddisfatti?
«Cambia senz’altro il contesto, ma vi sono molte analogie tra quello che succede nelle scuole guida e nelle università. Un professore generalmente dedica grande sforzo ad aggiungere valore alla lezione, con una serie di esempi e di momenti di interazione che possano suscitare l’interesse dello studente e dunque favorire un apprendimento attivo e costruttivo. Inutile dire che la didattica a distanza, per esperienza, rende tutto ciò più difficile, non incentiva l’interazione e molto spesso induce lo studente a un atteggiamento passivo unicamente finalizzato ad apprendere le nozioni necessarie per superare l’esame. Come d’altronde questo studio ha evidenziato».

Nel settore della formazione alla guida, non crede che si possano fare altri studi, per esempio sulla percezione dell’utilizzo degli Adas, i sistemi avanzati di assistenza alla guida, da parte di conducenti esperti o anziani?
«Assolutamente sì, di questo ne sono fermamente convinto. Recentemente siamo stati coinvolti in uno studio in cui abbiamo dimostrato che i conducenti alle prese per la prima volta con gli Adas sono apparentemente entusiasti e convinti che le loro prestazioni di guida ne beneficino, ma in realtà da un punto di vista mentale sono molto più impegnati e disattenti, poiché si concentrano maggiormente a controllare il cruscotto e il corretto funzionamento della strumentazione, un problema dovuto alla necessità di guadagnare “fiducia” nell’automazione, piuttosto che controllare la strada. Viviamo tempi in cui il ruolo dell’uomo sta cambiando radicalmente, l’automazione e la tecnologia stanno invadendo il nostro quotidiano, e dunque diventa cruciale studiare come favorire al meglio l’adattamento a questo nuovo contesto da parte dell’uomo».

(Immagine: Pixabay)

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