La nuova mobilità ha un futuro verde. L’intervista al Ministro Giovannini
unasca | il 04, Ago 2021
Intervista al Prof. Enrico Giovannini, Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili
di Sergio Cerini
Dopo un anno di pandemia è cambiato il modo di vivere le città e il lavoro. Milioni di persone hanno imparato a lavorare da remoto, a ridurre al minimo gli spostamenti fisici. Come è possibile sfruttare positivamente questo effetto collaterale della crisi sanitaria per decongestionare le città dal traffico e rendere la mobilità più sostenibile?
«È vero, la crisi generata dalla pandemia ci ha indotto a rivedere le nostre abitudini, il modo di lavorare e di studiare. Premettendo che il rapporto diretto, in presenza, tra colleghi, difficilmente potrà essere sostituito completamente dal lavoro da remoto, di certo lo smart working organizzato consentirà ai lavoratori, alle famiglie, di organizzare meglio il tempo. Ridurre gli spostamenti significa avere più tempo da dedicare alla famiglia e ai figli, o a attività sportive e culturali. Le città, grandi e piccole, dovranno essere ripensate tenendo conto di questo cambiamento. Decongestionare le zone centrali delle città, dove generalmente sono dislocati gli uffici, significa rendere più vivibili le zone residenziali, soprattutto le periferie, dotarle di maggiori servizi, di spazi verdi, di piste ciclabili. Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza abbiamo le risorse per realizzare progetti che vanno in questa direzione e che saranno condivisi con gli amministratori locali e la società civile. Faccio solo qualche esempio. Grazie alla digitalizzazione del trasporto pubblico locale partirà il progetto ‘mobility as a service’ che consentirà con un solo abbonamento di usufruire di tutti i mezzi di trasporto della città, compreso il car sharing. Così si scoraggia il ricorso all’auto privata. Per la realizzazione di nuove ciclovie, sia urbane che turistiche, abbiamo previsto 600 milioni di euro e intanto stiamo lavorando con Rfi e con l’Anci ad un progetto che prevede il collegamento attraverso piste ciclabili delle stazioni ferroviarie con le università. Ma non solo. Importanti risorse, circa 2,8 miliardi, sono destinate anche a migliorare la qualità dell’abitare e 2 miliardi alla riqualificazione energetica e sismica delle case popolari».
Per anni la parola d’ordine è stata ‘mobilità integrata’ o anche ‘intermodalità’: ferro, gomma, sharing messi a sistema per rendere più efficiente la mobilità nei grandi agglomerati urbani e ridurre l’impatto della mobilità privata sull’ambiente. Resterà questa la strategia del governo per i prossimi mesi e se sì, con quali interventi?
«Questa strategia non solo resterà, ma sarà potenziata. La visione di mobilità ‘sostenibile’ per la quale sono impegnato fin dal mio primo giorno al Mims, trova nello sviluppo dell’intermodalità uno dei suoi punti di forza. Ho ricordato il progetto ‘mobility as a service’ per favorire l’intermodalità nei centri urbani. Molti progetti del Pnrr riguardano la realizzazione del cosiddetto ‘ultimo miglio’ ferroviario e stradale nelle città portuali, con una più efficiente gestione della logistica che sarà digitalizzata. E ancora, attraverso il potenziamento dei nodi ferroviari le linee ad alta velocità saranno interconnesse con le linee regionali».
Il trasporto ferroviario regionale resta uno tallone d’Achille della infrastruttura e dei servizi per la mobilità in Italia. Treni, vecchi, binari vecchissimi, aziende in alcuni casi allo stremo. Le Regioni avrebbero bisogno di maggiori risorse per ammodernare il sistema che ricade sotto la loro giurisdizione. Come intendete intervenire per potenziare l’offerta di trasporto regionale?
«Nella nostra visione di trasporto integrato i servizi ferroviari regionali, in sostanza quelli che utilizzano quotidianamente i pendolari, sono cruciali per migliorare la qualità della vita delle persone. Nel Pnrr oltre all’estensione dell’alta velocità/alta capacità ferroviaria prevediamo il potenziamento delle reti regionali con una particolare attenzione al Sud. Parliamo di investimenti per oltre 5,5 miliardi che comprendono interventi di potenziamento, raddoppio ed elettrificazione di diverse linee, collegamento con porti e aeroporti, la riqualificazione delle stazioni nel Mezzogiorno. Per migliorare la sostenibilità ambientale e ridurre le emissioni inquinanti è previsto il rinnovo dei treni del trasporto pubblico locale (600 milioni) e di quelli intercity al Sud (200 milioni). Non mancano progetti innovativi, tra cui la sperimentazione del trasporto ferroviario a idrogeno in val Camonica, in Salento e su altre reti».
Con la pandemia e la richiesta di isolamento e distanziamento per evitare i contagi, il trasporto pubblico locale, ma anche il mondo dello sharing ne hanno risentito. Teme un ritorno al passato, una corsa di ritorno all’auto privata come mezzo non solo tante volte più efficiente, ma anche più sicuro?
«Molto dipenderà dall’efficienza del servizio pubblico. Oltre a nuovi mezzi meno inquinanti, sia autobus che treni, sono stati previsti ulteriori servizi aggiuntivi anche in vista del nuovo anno scolastico. Abbiamo poi istituito la figura del mobility manager nelle amministrazioni pubbliche, nelle aziende private e anche nelle scuole, una figura professionale che ha il compito di organizzare e armonizzare al meglio le attività lavorative e scolastiche con gli orari dei trasporti pubblici. Insomma, si cercherà di evitare gli orari di punta e spalmare i flussi su un arco temporale più ampio».
Ci dica due grandi progetti di infrastruttura green legata alla mobilità che il suo ministero metterà in agenda per i prossimi 24-36 mesi.
«Il progetto ‘green’ numero uno, già in agenda, è la cura del ferro per favorire lo shift modale. Secondo le nostre stime avremo un risparmio di 2,3 milioni di tonnellate annue di emissioni di CO2. Importante per la qualità dell’aria delle città portuali è anche l’elettrificazione delle banchine (cold ironing) che consente alle navi di sostare spegnendo i motori e prelevando l’elettricità da terra».
Si parla di transizione verso la sostenibilità ambientale. Un ruolo importante lo gioca anche la mobilità. Non crede sia necessario superare le attuali norme per introdurre nella formazione dei nuovi conducenti l’uso di veicoli con motori ibridi o elettrici per abituare da subito i conducenti?
«Il problema non riguarda solo i conducenti, che non trovano particolari differenze nella guida rispetto agli autobus tradizionali, ma riguarda la manutenzione dei veicoli. Le aziende devono adattarsi a nuove modalità di manutenzione. Con il Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile non finanziamo soltanto l’acquisto di nuovi mezzi ‘ecologici’ ma anche altri interventi come gli adeguamenti dei depositi e per le ricariche elettriche. Questo dovrebbe favore il passaggio verso i veicoli di nuova generazione».