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A lezione di rischio

A lezione di rischio

| il 26, apr 2019

Al volante c’è bisogno di educazione emotiva, sostiene la professoressa Anna Maria Giannini che dirige il Laboratorio di Psicologia applicata dell’Università La Sapienza. Perché tendiamo a sopravvalutarci come automobilisti e a sottostimare i fattori di rischio. Occorre allora mescolare le competenze degli insegnanti istruttori delle autoscuole e degli psicologi per ritrovare un equilibrio tra capacità di condurre il veicolo, rispetto delle norme, rispetto della sicurezza ed emotività. Il rischio va compreso e tenuto sotto controllo.

UNASCA, perciò entra con i suoi insegnanti istruttori alla Sapienza per un modulo didattico dedicato agli studenti di Psicologia condiviso con i docenti e i ricercatori del Laboratorio diretto da Anna Maria Giannini. Non si inizia da zero, c’è un expertise di progetti precedenti di successo. «A partire dal Progetto Icaro – spiega la professoressa Giannini -, dal 2000 sosteniamo che l’educazione alla sicurezza stradale debba essere una vera e propria educazione emotiva. Lo abbiamo ribadito con le collaborazioni, tra gli altri, con la Polizia di Stato e Fondazione Ania. Abbiamo fatto formazione nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei centri anziani e ci siamo resi conto che le autoscuole non erano abbastanza coinvolte. In alcuni casi, per nulla. D’altra parte, i nostri studenti si iscrivono a scuola guida e si accorgono che spesso, lì, non trovano un’adeguata attenzione sul tema del rischio, che è altrettanto importante delle tecniche di guida. Ora diamo vita a questo progetto che metterà insieme questi due aspetti in un modulo didattico che ha valore professionalizzante, attraverso il riconoscimento di crediti formativi, per gli studenti della Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza».

Il punto è che quel che fuori dall’abitacolo dell’auto sembra del tutto razionale e condivisibile, una volta che ci si mette al volante viene del tutto ignorato. Chiediamo a chiunque se sia disposto a guidare bendato per 36 metri al secondo, e la risposta sarà naturalmente “no”. Ma quasi nessuno pensa di guidare bendato per 36 metri al secondo quando, per tre soli secondi, a 130 all’ora, distoglie lo sguardo dalla strada per leggere un nome sullo schermo dello smartphone. Figuriamoci, per rispondere a messaggi di testo. Dunque, perché sottovalutiamo il rischio?

«Per tante ragioni – prosegue Anna Maria Giannini -, e soprattutto va ricordato che la sottovalutazione del rischio riguarda i giovani, che però stanno recuperando una diversa attitudine grazie alle campagne di educazione stradale attive da anni, quanto gli adulti. Dobbiamo considerare un doppio sistema: da una parte l’aspetto razionale; dall’altra, l’aspetto emotivo. Il primo ci porta ad ammettere che è rischioso guidare e utilizzare nello stesso tempo il telefono cellulare. Il secondo, quello emotivo, ci fa dire “ma tanto ora non c’è nessuno” e quindi quando arriva la notifica si prende il telefono e si legge il messaggio. È una sorta di mondo sdoppiato: il mio e quello degli altri. Nel mio tutto è sotto controllo, in una errata percezione del multitasking, in quello degli altri invece accade l’errore».

Altro aspetto fondamentale che emergerà da questo corso, è che la percezione del rischio dipende dalla personalità e non dal mezzo che si guida. Un modo per rimuovere i luoghi comuni che vorrebbero legare la scelta di un’auto, o di una moto, sportiva alla propensione alla guida spericolata. «La capacità di integrare la percezione del rischio e preservare la propria e altrui sicurezza, emergono come punto di arrivo nell’età adulta – prosegue la professoressa Giannini -, mentre la sottovalutazione del rischio è un tratto della personalità che osserviamo non soltanto nella sicurezza stradale, ma anche nelle condotte aggressive come il bullismo. Il disinteresse al rischio è lo stesso che si guidi una city car o un’auto sportiva, sia che si percorra la città a piedi o su uno scooter».

«Il controllo emotivo è anche la storia di “Strade da amare” – aggiunge Emilio Patella, Segretario nazionale Autoscuole UNASCA -, il problema è tradurlo in un’azione educativa concreta, soprattutto quando hai davanti una persona di 18 anni. Età in cui si sono già assimilato comportamenti e modelli dagli altri coetanei o dagli adulti. Personalmente, lavoro con gli psicologi da oltre vent’anni: il problema è che a volte non hanno una conoscenza compiuta del Codice della strada e dei fenomeni della circolazione stradale. Perciò tocca a noi offrire degli spunti per queste lezioni, che poi gli psicologi andranno ad approfondire. Gli psicologi, da parte loro, ci insegneranno come inserire nella didattica delle autoscuole il controllo dell’aspetto emotivo. Sarà un lavoro di équipe, che abbiamo preparato con il professor Pierluigi Cordelleri: le lezioni saranno tenute da un insegnante istruttore e da un docente universitario».

Tra i materiali didattici, spezzoni di film che hanno raccontato storie di sicurezza stradale, come appunto “Strade da amare”, filmati della Polstrada, immagini di ricostruzioni di incidenti. «Ma non vogliamo mostrare solo gli aspetti tragici della sottovalutazione del rischio, il messaggio che deve arrivare è che è importante imparare a conservare la propria vita e quella degli altri», conclude Anna Maria Giannini.

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