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Guida autonoma, responsabilità automatizzata?

Guida autonoma, responsabilità automatizzata?

| il 27, feb 2019

(di Enrico Bellinelli)

È il tema di domani, ma va affrontato oggi. La guida autonoma, sia nella fase attuale, con veicoli altamente automatizzati, sia nella fase della completa automazione che un giorno verrà, non sarà mai slegata dalla responsabilità giuridica. Cedere il controllo della guida significa trasferire o quantomeno condividere la responsabilità di potenziali danni ad altri: il gestore della rete dati che scambia informazioni tra veicoli e tra strade e veicoli, il progettista del software dati, il costruttore del veicolo. E l’errore è sempre possibile. Riacquisire il governo del veicolo in situazioni d’emergenza e tentare il tutto per tutto, una necessità.

Il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Macerata, UNASCA e Centro Studi Cesare Ferrari, hanno dato perciò forma il primo febbraio a un evento che ha fatto il punto della situazione sulle Smart road e su i veicoli a guida automatizzata che su quelle strade intelligenti, un giorno, viaggeranno. In Italia, anzitutto, ma non solo. Le sfide sono talmente tante e l’opinione pubblica ha ancora le idee così poco chiare che serviva ripercorrere le tappe dell’automazione in uno scenario che coinvolge la tecnologia, certo, così come il fattore umano. In platea, studenti del Dipartimento di Giurisprudenza salutati dal direttore Stefano Pollastrelli e insegnanti istruttori associati UNASCA salutati da Andrea Onori, vice presidente del Centro Studi Cesare Ferrari.

Si parte dalla definizione stessa di “veicolo” e si capisce quanto la tecnologia abbia superato il nostro schema concettuale dove trovavano posto, sino a ieri, la responsabilità giuridica, la mobilità e persino il sistema della logistica. Il veicolo, infatti, per l’articolo 46 del Codice della strada è guidato dall’uomo, come ha ricordato la professoressa Carmen Telesca dell’Università di Macerata. Ma la tecnologia corre veloce, più del Legislatore. Tant’è che anche la Convenzione di Vienna del 1968, che regola a livello internazionale che cosa un veicolo è, è stata modificata. La guida, ha ricordato Manuel Picardi, vice presidente EFA, «non è più un esercizio esclusivo del conducente». Non è un gioco della tecnologia, ma un obiettivo politico dell’Unione europea che ha per stella polare la “Vision Zero” per ridurre a zero entro il 2050 l’incidentalità mortale sulle strade. Intanto ci pensano gli ADAS, ha aggiunto Picardi, a correggere l’errore. Il catalogo è ampio e in gran parte di serie, e trova il suo completamento nel libro bianco “Gear 2030” firmato dalle case costruttrici. Dal “E-call” al “AEB”, lanciare una richiesta di intervento sanitario o ripristinare la distanza di sicurezza in caso di distrazione o malore è realtà, passando per l’”ISA”, l’adattatore intelligente della velocità.

L’applicazione più compiuta dei sistemi avanzati di assistenza alla guida, oggi, sta però nei camion; almeno dal 2015. L’ingegner Paolo Carri, di Scania, non si è limitato a mostrare il presente della sicurezza a bordo dei TIR svedesi. Un assaggio di futuro è arrivato dalla tecnologia del “platooning”, cioè della marcia in colonna in cui sono le informazioni a dirigere i veicoli, a ridurne il consumo energetico, a mantenerne la corretta distanza di sicurezza per lunghe percorrenze comuni. Insomma, la guida fatta con il tablet, che mette insieme riposo del conducente e risparmio aziendale. Ma nemmeno questo completa il quadro. Sono i veicoli industriali, infatti, quelli più prossimi all’idea di robot. Soprattutto nei grandi cantieri. Lì, il futuro ha già i tratti di veicoli senza cabina, ma con un cervello elettronico per le operazioni di carico e scarico. Il design non si occuperà di comfort e abitabilità, ma solo di capacità di carico. E questo modello si trasferirà poi anche nella filiera della logistica, dove il movimento da magazzino a veicoli e viceversa sarà governato senza l’ausilio dell’uomo. A guidare e a stoccare le merci o a distribuirle, cioè, sarà la Rete.

Ma questa enorme, complessa, massa di dati come verrà protetta? A chi sarà accessibile e per quanto tempo? Che cosa racconterà dei conducenti dei veicoli? Come oggi gli smartphone raccolgono, racchiudono e diffondono aspetti delle nostre vite e delle nostre personalità, altrettanto diverranno i veicoli. È la trasformazione delle nostre vite in dati e la giurisprudenza, ricorda il professor Simone Calzolaio, pone una domanda secca sulla privacy, perché veicoli e strade non chiederanno il consenso al trattamento dei dati personali: semplicemente li acquisiranno e useranno. Magari per modulare le tariffe assicurative sui profili degli automobilisti.

E dal rischio cyber terrorismo come si difenderà la Rete, chiede Francesco Foresta, docente di Diritto della circolazione nell’Ateneo maceratese a Maurizio Caprino, giornalista del Sole24Ore. È uno degli interrogativi che si aprono sulla percezione che l’opinione pubblica ha della guida autonoma. Forse nemmeno il più inquietante. C’è infatti un aspetto da tenere ben presente che non è episodico come la sicurezza pubblica, ma sistemico: la sostenibilità economica dell’automazione. A partire dallo scacchiere globale dei giganti dell’automotive che spingono verso fusioni industriali o partnership sulla ricerca e sviluppo. La guida autonoma, cioè, come specializzazione e posizionamento di mercato, magari in cambio di motori elettrici, prima che si accenda il faro dell’Antitrust.

Infine, c’è un aspetto che Maurizio Caprino evoca per riportare la platea alla prima casella di questo calendario avveniristico. La conformazione geografica e antropica dell’Italia, fatta di piccoli centri, collegati da strade minori, dove già investire in car sharing è chiaramente svantaggioso, figuriamoci infrastrutturare le strade per lo scambio di dati per la guida autonoma. Più semplicemente, dove i conducenti continueranno a guidare con il pieno controllo del veicolo. La transizione dal livello 3 di automazione, al livello 5, insomma, avverte Caprino, «sarà lunga e porrà gravi problemi di convivenza, perché l’auto ragiona in modo diverso dal guidatore».

Quindi lo scenario si può ricostruire così: l’Italia è partita per tempo con il Decreto ministeriale del 28 febbraio 2018 che riconosce che il vero banco di prova dei veicoli automatizzati presto o tardi sarà la strada. Serve quindi attrezzarsi, cioè investire denaro nella rete stradale TEN-T e nella piattaforma tecnologica europea C-ITS. Inoltre il Ministero istituisce con la sua struttura tecnica l’Osservatorio tecnico di supporto per le Smart Road e per il veicolo connesso e a guida automatica, come ha riassunto Marcello Paolucci, dirigente del MIT.

Soprattutto, resta centrale la formazione del conducente, che dovrà conoscere tipi e funzionamento degli ADAS, come ha suggerito Manuel Picardi, e che non potrà mai immaginarsi solo passeggero di un veicolo a guida autonoma. Potrà esserlo per qualche centinaio di chilometri in autostrada, ma se esce dal garage in un paesino degli Appennini, dovrà pur sempre saper guidare, per arrivare al casello. Le autoscuole, perciò, avranno ancora tanto da lavorare nei prossimi anni. E il fatto che l’Università di Macerata con questo evento di alta formazione si sia aperta al mondo professionale delle autoscuole segna, da un lato, come ha rimarcato il Rettore Adornato, un cambiamento epocale in atto nel mercato delle professioni giuridiche; dall’altro, come ha detto il Segretario nazionale Autoscuole Unasca Emilio Patella, rappresenta «il coronamento di una vita professionale spesa nella formazione dei conducenti, perché le autoscuole svolgono sì un lavoro umile ma che richiede sempre più qualità». Anche dopo che si sarà schiacciato il pulsante che lascerà guidare l’auto.

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