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Infrastrutture, un censimento che richiede diagnosi programmate

Infrastrutture, un censimento che richiede diagnosi programmate

| il 29, ago 2018

Quanti sono esattamente i ponti e i viadotti in Italia? Per quanto si ricerchi questo dato, in Rete non si trova. Eppure per capire lo stato di salute delle infrastrutture su cui viaggiamo, dovremmo almeno sapere quante sono. Invece si recuperano sempre numeri parziali. Perché? L’ingegner Settimo Martinello, direttore generale della 4Emme Service SpA, società bolzanina che fa monitoraggi di mestiere, spiega il fattore cruciale al Tergicristallo. E iniziando dai numeri, vien subito da preoccuparsi.

«In Italia – spiega Martinello durante la trasmissione “Punto e Giorno al volante”, sulla pagina Facebook dell’Unasca – non arriva nemmeno al 10 per cento la quantità di ponti che sono ispezionati con costanza dalle amministrazioni pubbliche. Ma la priorità, i ponti, prima o poi se la prendono da soli. Quel che è certo è che i ponti superano abbondantemente il milione. Ogni campata è un ponte: il viadotto Morandi a Genova aveva 20 ponti. Nella sola Lombardia se ne contano diverse decina di migliaia. In gran parte costruiti tra gli anni Cinquanta e Settanta e oggi abbiamo questo esercito di sessantenni quasi mai sottoposti a visita».

Per sottoporre questi sessantenni che mostrano i primi acciacchi, si segue una procedura codificata raccolta in un manuale di valutazione dello stato di degrado opera di dicenti universitari e specialisti. Qui sono codificati i 100 difetti che si possono trovare in un ponte attraverso delle schede di analisi. «Dati – prosegue Martinello – che vengono poi inseriti nel sistema informatico Bridge e che permettono a chi amministra di valutare centinaia di ispezioni che vengono fatte tutto l’anno e ordinate da filtri del sistema informatico che dà gli indici peggiori dello stato di conservazione e avere, così, delle gerarchie di intervento a partire dalla spesa che si dovrà sostenere. Più si aspetta e più difficilmente poi quella struttura che necessita di interventi sarà salvabile».

La chiave di lettura di questa vaghezza nei numeri e dell’urgenza degli interventi obbligatori nell’era del calcestruzzo (che si immaginava più o meno indistruttibile) è “gara al massimo ribasso”. Cambiata questa voce, la sicurezza tornerà ad avere un senso compiuto.

«Le gare al massimo ribasso sono il male – conclude Martinello -. Quando si arriva a ribassi del 30 o 40 per cento o l’impresa muore o deve recuperare da qualche parte. Per recuperare, lo si fa sui materiali. Se si fa un carotaggio sui calcestruzzi degli anni Sessanta o Settanta, si scoprirà che almeno la metà di quelle opere è molto sotto la loro soglia di resistenza. Meno della metà di quel che dovrebbe essere. E quando passiamo sotto un viadotto e vediamo i ferri corrosi, perché quando cedono vengono giù di schianto. I cedimenti di taglio sono istantanei. Il problema è la corrosione. Basta guardare dove il palcato appoggia per rendersene conto; questo sì anche a occhio nudo».

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