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Missione normalità: verso il Consiglio nazionale Autoscuole Unasca

Missione normalità: verso il Consiglio nazionale Autoscuole Unasca

| il 10, lug 2020

di Enrico Bellinelli

La Segreteria nazionale delle Autoscuole Unasca si è data una missione titanica: arrivare alla normalità. E se per tutti gli altri ambiti della vita quotidiana l’equivoco è il mondo prima del Covid-19, la normalità cui punta il Segretario nazionale Emilio Patella è quella degli esami di guida entro i termini di legge: non prima di trenta giorni dal rilascio del foglio rosa. La ricetta è arcinota, al Consiglio nazionale Autoscuole Unasca di sabato 11 luglio il compito di analizzare e proiettare da qui ai prossimi cinque anni, forse più, l’orientamento emerso dal sondaggio aperto agli insegnanti istruttori delle autoscuole italiane. Da questo risultato ne potrebbe seguire una nuova Motorizzazione civile, se la politica vorrà ascoltare chi fa questo mestiere tutti i giorni e la delusione degli utenti.

Segretario, come leggere questo Consiglio nazionale?
«Intanto è un appuntamento differente da quelli fatti nei mesi del lockdown. Non ci saranno i mille o più Associati, stavolta partecipano solo i delegati. Forse qualcuno ne sarà deluso, ma non siamo in democrazia diretta; bensì rappresentativa. Voteremo su quale direzione prendere, ed è nostro compito dare valore allo Statuto associativo: lasciamo il voto a chi rappresenta un territorio. Oltre al fatto che risulta impossibile far votare online mille persone».

Il 6 giugno è stato lanciato un sondaggio online, aperto agli Associati e ai non associati che ha permesso alla Segreteria nazionale di raccogliere molti dati interessanti su cui fare un ragionamento di prospettiva.
«Dietro le percentuali ci sono posizioni che vanno valutate con attenzione. Per esempio, il 26% di chi ha risposto indica che gli esami dovrebbero essere tenuti direttamente dalle autoscuole. È una scelta umorale perché ora le cose procedono con difficoltà o è una scelta ponderata, visto che in Ue nessun paese ha autoscuole che fanno esami? L’aspetto importante, però, non è l’analisi della situazione attuale, ma quella che parte da qui e arriva ai prossimi cinque anni se non dieci. Se decidiamo che la Motorizzazione deve cambiare, oppure che altri soggetti dovrebbero svolgere quel lavoro, è chiaro che si tratta di compito di lungo termine. Una prospettiva che quindi va oltre il mio mandato».

Su quali elementi basare questo lavoro quinquennale?
«L’effetto Covid è già finito. La solidarietà è finita, soprattutto nel nostro settore. Ciascuno sta pensando alla sua provincia, alla sua autoscuola, le Associazioni invece di avvicinarsi si sono allontanante, quindi la fotografia è pessimistica. Nonostante questo, alcuni elementi spingono verso un certo ottimismo. Anzitutto, peggio di così non può andare. Il personale continua ad andare in pensione e prima o poi una soluzione andrà trovata. Non possiamo pensare che la Motorizzazione sia smantellata pensionamento dopo pensionamento. Quando toccheremo davvero la paralisi generale, anziché il continuo drammatico acuirsi di situazioni geograficamente ben individuate, allora ci dovremo far trovare pronti. L’Unasca e la politica. Se invece in questi anni si è davvero stati capaci di portare avanti i nostri temi, poco per volta, al momento opportuno qualcosa di pronto ci sarà. Non sono discorsi nuovi. Personalmente l’ho ribadito almeno a quattro ministri dei Trasporti. L’altro aspetto ottimistico è che noi siamo determinati. Qualcuno si sta accorgendo ora dei problemi, di certo non Unasca o questa Segreteria nazionale. Se poi lo scenario dovesse mutare favorevolmente, noi ci faremo trovare pronti a giocare un ruolo».

Perché questa foto è così pessimisitica?
«Tutti dicono che Unasca ha ragione, ma nei decreti non c’è nulla che risolva il problema. Tutti gli emendamenti presentati in Parlamento per assumere personale in Motorizzazione sono stati respinti. Cosa dovremmo pensare? L’unica novità sono i 9 milioni di euro stanziati per attrezzature, che sia lì la soluzione del problema? Potrebbe essere. Se così fosse di sicuro nessuno ce l’ha spiegato. Oppure, prendiamo il certificato medico digitale: lo chiediamo dal 2014, il Governo lo approva nel 2018, doveva entrare in vigore nel 2019, slitta al 2020 e non funziona il sistema. Inserisci una foto e la foto sparisce, giusto per dirne una. Ci impieghiamo anni per cambiare le norme, fare in modo che migliorino la qualità della vita dei cittadini, si fa conto che serva qualche anno per adeguare le tecnologie del Ministero, che però non sono state sperimentate a sufficienza e poi ti ritrovi per un mese nel caos. Ecco perché sono pessimista».

Cosa si aspetta dai delegati, dopo il fermo del lockdown?
«Saranno combattivi, in parte i risultati del sondaggio sul ruolo degli esaminatori già ce lo dicono. Poi faremo scelte non facili. Cinquanta anni di Motorizzazione si sono impressi profondamente nella nostra mentalità e nel nostro modo di lavorare. Di certo non possiamo permetterci di dire che è un sistema che va cancellato in toto, o privatizzato, solo perché funziona male. Dovremo tenere conto di stati d’animo molto diversi: Bergamo ragiona in modo diverso da Napoli, perché lì la situazione è diversa. Ecco perché le soluzioni su cui i delegati saranno chiamati a votare saranno più di una. L’obiettivo è arrivare in maniera omogenea alla normalità. Cioè non quella prima del Covid, ma quella prevista dalla Legge, che dice che già dopo trenta giorni dal conseguimento del foglio rosa potresti dare l’esame di guida. Ora sono sei mesi, in alcuni casi 14 mesi. Ma la domanda fondamentale è: siamo arrivati ad allungare i tempi perché alle persone non interessa avere la patente in tempo breve, oppure perché lo Stato non riesce a dare il servizio nei termini di legge?».

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