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sabato 20, aprile 2024

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Roma caput mundi della sicurezza stradale europea

Roma caput mundi della sicurezza stradale europea

A tu per tu con Luca Persia, professore dell’Università La Sapienza di Roma che coordina il Centro di Ricerca Ctl

Lei lavora per l’Università “La Sapienza” di Roma, e nello specifico gestisce e coordina alcune attività del Centro di Ricerca per il Trasporto e la Logistica – CTL (www.ctl.uniroma1.it), un soggetto giuridico che si è ritagliato uno spazio sempre più ampio nello scenario della sicurezza stradale. Ci descriverebbe, brevemente, le principali attività del CTL?

L’azione del CTL parte dalla partecipazione ai progetti di ricerca internazionali, finanziati principalmente dalla Commissione Europea, ma anche dall’OCSE e da altre Organizzazioni, che consente di sviluppare il know-how da reinvestire nei progetti nazionali, a supporto delle Pubbliche Amministrazioni di diverso livello. La nostra ricerca si muove principalmente all’interno di cinque aree: Mobilità sostenibile, Sicurezza stradale, Veicoli e sistemi innovativi, ICT per la mobilità, Logistica e trasporto merci. Una parte importante della nostra azione è mirata alla diffusione dei risultati della ricerca internazionale. In quest’ottica, abbiamo cominciato a pubblicare da alcuni mesi un News Magazine sulla sicurezza stradale (Road Safety), disponibile on-line.

Gli Orientamenti 2011-2020 della Commissione Europea prevedono un impegno dei Paesi membri per l’ottenimento di un’ulteriore riduzione della mortalità sulle strade. Crede che l’Italia riesca ad avvicinarsi al famigerato obiettivo?

Il decennio 2011-2020 rappresenta una sfida difficile, in quanto si tratta di consolidare i risultati raggiunti nel decennio precedente ed ottenerne altri ancor più significativi, sia per quanto riguarda i morti, che per quanto riguarda i feriti. L’attività in corso di programmazione e governance da parte delle Istituzioni, in particolare del MIT (Ministero Infrastrutture e Trasporti), lascia ben sperare. Tra le molte iniziative in corso, cito: il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale Orizzonte 2020, al quale, con un team di partner, stiamo fornendo il supporto scientifico, che sarà presto disponibile sul portale del Ministero per la consultazione pubblica; l’applicazione della nuova Direttiva europea 96/2008 sulla Gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali, ormai in fase avanzata; la revisione del Codice della Strada che inizierà a breve; Se si riuscirà a trovare le giuste risorse per sostenere queste iniziative, non ho dubbi che l’Italia centrerà i suoi obiettivi.

All’evento organizzato dall’ETSC a Roma la scorsa primavera, Lei ha parlato del progetto “Sunflower”. Di cosa si tratta?

La sigla SUN è un acronimo dei tre Paesi europei con i maggiori livelli di sicurezza stradale: Sweden, UnitedKingdom e the Netherlands. Questi Paesi, partendo da contesti diversi, hanno ottenuto ottimi risultati applicando opportune strategie di riduzione dell’incidentalità. Il progetto Sunflower, ormai in corso da molti anni, nasce proprio per analizzare e comprendere i fattori e i meccanismi che hanno favorito il miglioramento nei paesi “SUN”, con l’obiettivo di diffonderli anche negli altri Paesi. L’analisi si basa su una metodologia che confronta tra loro le prestazioni di sicurezza nei vari Paesi a diversi livelli (contesto socio-culturale, fattori di rischio, interventi, incidentalità, costi sociali). L’approccio Sunflower è alla base del nuovo PNSS Orizzonte 2020.

Parliamo di educazione. Come vede la formazione iniziale nelle Autoscuole italiane? Recentemente è stato introdotto un percorso di sei ore di guide obbligatorie. Secondo Lei dovrebbe essere integrata da qualche tipo di percorso particolare o è sufficiente questa importante novità?

Il percorso formativo iniziale nelle Autoscuole mi sembra piuttosto complesso. L’esame teorico potrebbe essere semplificato e maggiormente orientato all’apprendimento di concetti di sicurezza stradale. L’educazione dovrebbe quindi non solo essere orientata alla conoscenza delle regole, ma anche e soprattutto al mantenimento di comportamenti di guida sicuri. Ciò su cui bisogna tendere, a mio parere, è la personalizzazione del percorso formativo, supportata dalle nuove tecnologie, hardware e software. Le caratteristiche psicologiche e fisiologiche di ciascun guidatore sono diverse, e la sua formazione dovrebbe essere il più possibile personalizzata e continua nel tempo.

Non crede che si possa immaginare un percorso didattico da sviluppare, in qualche maniera, in collaborazione con le Università italiane, come del resto già si fa in altri Paesi?

Non c’è dubbio. In alcuni Paesi, soprattutto del Nord Europa, questo tipo di collaborazione è favorita dall’esistenza di un Centro di Ricerca  Nazionale sulla Sicurezza Stradale, che integri le diverse competenze necessarie: ingegneri, psicologi, medici e altri. In Italia non abbiamo ancora un Centro di questo genere, tuttavia sono in corso valutazioni scientifiche sull’argomento. Noi stiamo supportando il MIT su una serie di studi che coinvolgono diverse forme di formazione alla guida.

Un’ultima domanda. In Italia abbiamo più di 35 milioni di patenti di guida, rilasciate più della metà, almeno venti anni fa. Non crede che sia arrivato il momento di immaginare un corso di formazione periodica per gli utenti, se non pratica, almeno teorica?

Le caratteristiche psico-fisiche dei guidatori sono diverse per ciascuno e cambiano nel tempo. Quindi la formazione, oltre che personalizzata, deve essere protratta nel corso della vita. Basti pensare ai grossi problemi di sicurezza stradale indotti dall’uso di motocicli da parte di persone in età avanzata. Una formazione periodica porterebbe sicuramente importanti risultati.

Di Manuel Picardi

Pubblicato sul numero 02/2014 del magazine Il Tergicristallo

 

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